Riequilibrare i rapporti di forza nella negoziazione

Sono un tipo protettivo. Quando assisto a un'ingiustizia subita dalle persone a me care, scatta subito l'impulso di scendere in campo per provare a difenderle.

Il mio spirito protettivo si esprime insegnando a chi si trova in situazioni di debolezza ad uscirne usando tutte le leve negoziali a disposizione.

Tra le dinamiche che si vivono durante le trattative, uno degli aspetti più affascinanti è proprio quello dei rapporti di forza. Soprattutto osservato dal punto di vista della parte più debole.

Da cosa deriva la forza al tavolo negoziale?

La letteratura è vasta e ogni autore ne dà una propria interpretazione. La spiegazione di R. Shell per esempio è semplice ed elegante: ha più forza chi ha meno da perdere se la trattativa fallisce, ossia è più debole chi ha più da perdere in caso di mancato accordo con la controparte.

La forza al tavolo negoziale non serve (solo) a raggiungere un accordo, ma a forzarlo verso le nostre condizioni.

In un mondo ideale, tutti gli accordi dovrebbero essere sostanzialmente improntati all'equità, anche quando la forza tra le parti è fortemente sbilanciata.

L'esperienza insegna però che quando si parte da una posizione di debolezza questa equità va conquistata combattendo sul campo. Per cui serve saper usare bene ogni fonte di forza negoziale disponibile. Senza mai partire sconfitti in partenza, si noti bene, perché troppo spesso si confonde il potere sociale (qualunque ne sia la fonte: lo status, le relazioni, le disponibilità finanziarie o anche il lignaggio) con la forza al tavolo negoziale che è contingente e legata alla trattativa in questione.

Quali fattori modificano i rapporti di forza prima e durante la trattativa?

Quando ci troviamo in una posizione di debolezza di fronte a qualcuno di potente e arrogante (il classico bullo), un primo fattore importante da prendere in considerazione è quello delle alternative (all'accordo con la controparte).

Se abbiamo almeno un'ottima alternativa, avremo facilità a rispedire al mittente delle offerte irricevibili e a minacciare l'abbandono del tavolo negoziale. E non è neppure indispensabile averne di ottime, è sufficiente che le alternative della controparte sia molto peggiori delle nostre.

Se ricordiamo che le alternative non sono statiche e scolpite nella pietra, ma mutano nel tempo, serve solo lavorare di inventiva. Si possono costruire nuove alternative durante la trattativa, per esempio trovando nuovi alleati. O si può impedire alla controparte di costruirsene di nuove. Quanti ultimatum vengono usati strumentalmente proprio per questo?

Un secondo fattore cruciale è il grado di dipendenza dalla controparte. La parte che più dipende dall'altra per raggiungere i propri obiettivi è quella evidentemente più debole. In qualunque negoziazione la dipendenza è sempre nei due sensi, ma raramente è perfettamente simmetrica e ha due facce, come le monete.

  • La prima "faccia" è quella dei bisogni. Se la controparte possiede qualcosa che vogliamo, questo innesca la nostra dipendenza. Quanto più insostituibile è quella cosa, tanto maggiore sarà la dipendenza.
  • La seconda "faccia" è quella oscura delle minacce. Se la controparte ha la possibilità di arrecarci un danno, anche solo ventilare questa possibilità alimenta la dipendenza. Quanto maggiore è il possibile danno a cui siamo esposti, tanto più impellente sarà la necessità di evitarlo trovando un accordo che soddisfi la controparte.

Cosa fare per ridurre la dipendenza?

Per attenuare un bisogno, la cura più semplice è trovare un'alternativa che lo soddisfi. Un po' più complicato disattivare una minaccia. Sicuramente anche qua un alleato influente può aiutare molto. Anche rispondere minacciando a nostra volta di pubblicizzare e rendere manifesti in pubblico comportamenti particolarmente scorretti può essere efficace. Sempre meglio evitare di minacciare per primi, ma se minacciati, allora è legittimo rispondere.

Altra fonte da cui trarre forza negoziale, e secondo me è la più importante, è quella che scaturisce dal potere delle regole. Alla base c'è un principio psicologico semplice: ognuno di noi si sente intimamente in dovere di rispettare alcune regole di comportamento e di convivenza con gli altri. Non solo per la paura delle sanzioni in caso di contravvenzione, ma anche e soprattutto per un intimo bisogno di coerenza. E' il frutto dell'educazione ricevuta, della cultura familiare e sociale in cui siamo cresciuti, delle esperienze ecc...

Dobbiamo rispettare le leggi per non incorrere nelle sanzioni e nella riprovazione sociale. Se vogliamo continuare a fare affari, dobbiamo rispettare le regole di condotta riconosciute nel settore in cui operiamo.

Poi ci sono le regole sociali della propria "tribù" che dobbiamo seguire per non essere ostracizzati. E in ultimo ognuno risponde alla propria coscienza e a quei valori e principi che sono una parte fondamentale dell'identità personale. Qui la pena è quella di rovinarsi il sonno.

Anche il più spregiudicato dei bulli si sente in dovere di rispettare le proprie regole. Bisogna però scoprire quali sono. Chiunque, se colto in comportamenti che sono incoerenti con le regole che ritiene giuste, correggerà il comportamento e farà probabilmente in modo di non apparire un ipocrita. E si sentirà obbligato a fare quello che è giusto, anche se non è conveniente. Basta solo mettere in luce questi comportamenti incoerenti. Quante trattative si giocano quasi esclusivamente su questo...

Un ultimo incoraggiamento

Anche nelle situazioni più estreme, quelle in cui apparentemente non si hanno alternative, o ci troviamo di fronte a delle minacce davvero serie e la controparte sembra non rispettare alcuna regola, la disperazione può diventare una risorsa preziosa.

Non avendo più nulla da perdere, si trova il coraggio di compiere delle mosse inattese che possono ri-bilanciare i rapporti di forza. Fino a minacciare, nei casi più estremi, di fare come Sansone e i filistei (la "brinkmanship" tecnica negoziale molto nota e diffusa negli affari internazionali).